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venerdì 23 novembre 2012

Processo “ILVA” e TUMORI: il Salento Parte Offesa

Con le dichiarazioni del Tribunale del Riesame di Taranto nell’ordinanza depositata il 20 agosto scorso nel procedimento penale a carico dei massimi dirigenti dell’Ilva, nonché dello stabilimento di Taranto, si è conclamato che a Taranto è stato consumato un reato di disastro ambientale:
Le concrete modalità di gestione dello stabilimento siderurgico dell’Ilva di Taranto – che hanno determinato la continua e costante dispersione nell’aria ambiente di enormi quantità di polveri nocive e di altri inquinanti di accertata grave pericolosità per la salute umana (alla cui esposizione costante e continuata sono correlati eventi di malattia e di morte,
osservati con picchi innegabilmente preoccupanti, rispetto al dato nazionale e regionale, nella popolazione della città di Taranto, specie tra i residenti nei quartieri Tamburi e Borgo, più vicini allo stabilimento siderurgico, nonché la contaminazione di terreni ed acque ed animali destinati all’alimentazione umana [….] – integrano senz’altro l’elemento materiale del reato in esame (disastro 

ambientale), in termini di condotta ed evento di disastro.”


Tali parole non provengono più dalla Procura della Repubblica o da un GIP, ma da un Tribunale Collegiale sul quale non abbiamo motivo di dubitarne  terzietà ed imparzialità.
L’affermazione della sussistenza di questo illecito rafforza l’accusa nel suo punto giuridicamente più significativo, laddove il Riesame afferma che il delitto in questione è stato interamente commesso dagli indagati nella sua forma più grave, ossia quella prevista dal 2° comma dell’art. 434 c.p., quella che prevede il disastro e i conseguenti danni e non solo “gli atti preparatori” dello stesso (com’è, invece, disposto dal 1° comma).
L’operato dell’ILVA si è spinto, superandolo, al disastro ambientale laddove si è alla presenza di decine, se non centinaia di morti ed ammalati che soltanto un occhio miope può non attribuire alla scelleratezza dei comportamenti degli alti dirigenti Ilva.
Questa forma di nocumento, diffusa e devastante, è stata finalmente riconosciuta, grazie alla perizia epidemiologica effettuata in sede d’incidente probatorio, all’inquinamento provocato dall’Ilva.
Purtroppo però le singole vittime, allo stato, non avranno giustizia in quanto tra i reati contestati agli imputati non compaiono quelli di omicidio colposo o di lesioni.
Pertanto, non è solo un imperativo gesto di coscienza sociale quello che impone di prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di allargare le ipotesi di reato a base di questo procedimento o di farne avviare uno autonomo incentrato sulle lesioni (ovvero sulle malattie) e sugli omicidi (cioè sulle morti) colposi seriali che sono più che verosimilmente ascrivibili a tutti o a parte di questi stessi indagati. Così come non è affatto peregrina l’ipotesi che l’aumento della mortalità da tumori del basso Salento sia da attribuire direttamente alle decennali emissioni dell’Ilva e, dunque, al disastro ambientale.
Sul punto giova riportare l’illuminante intervista rilasciata dal dott. Serravezza all’indomani delle dichiarazioni del Ministro CLINI in cui quest’ultimo afferma che a Lecce vi è una mortalità più alta rispetto a Taranto:
“Dottor Serravezza, tutto sommato le affermazioni di Clini, anche se l’hanno fatta irritare, hanno il merito di aver riacceso il dibattito sulla crescita delle morti oncologiche nel Salento, vero?




«Il fatto che a Lecce ci sia una mortalità superiore a Taranto non può essere usato come argomento per scagionare l’Ilva. Pochi mesi fa, con le nostre pubblicazioni, abbiamo cercato di attirare l’attenzione delle istituzioni, ma siamo stati ignorati. Ora, grazie a questo intervento del ministro, anche se poco corretto, finalmente se ne parla. Si cita un fatto drammatico per noi, per un fine insulso, cercando di sminuire il caso Taranto: questa è una cosa da irresponsabili, che fa molta rabbia, specie quando non si fa nulla e non si programma nulla per tutelare i cittadini».


I vostri dati sono inoppugnabili?

«I dati si ripetono ineluttabilmente da 15 anni. A Lecce, tanto per dire, nel 2008 sono morte 2080 persone: ben il 22 per cento in più rispetto a quelle previste dalla media pugliese; a Taranto la crescita è del 10 per cento, quindi, noi li superiamo. Ogni anno il 22 per cento in più rispetto alla media pugliese. Ben 215 morti in più a Lecce, rispetto a Bari, Foggia, Brindisi e Bat. I nostri dati non sono fesserie fatte così: il ministro venisse a parlare con noi, che gli spieghiamo come stanno le cose. Tutto è fatto scientificamente, con dati Istat, dell’Osservatorio Epidemiologico Pugliese e dell’Istituto Superiore di Sanità: il nostro lavoro è stato quello di renderli omogenei, con un metodo scientifico di calcolo, analizzando il dato non in maniera assoluta, ma raffrontandoli con le varie regioni in un arco di tempo di vent’anni».

Primi in Puglia, ma rispetto al resto d’Italia come siamo messi?

«Un giornale salentino ha esagerato dicendo che siamo tra i primi in Italia. Secondo i nostri dati, stiamo raggiungendo i livelli dei paesi del nord, quelli con più industrie, mentre prima eravamo il 25-30 per cento in meno rispetto alle regioni con un alto tasso, come Lombardia e Luguria: ora questo gap virtuoso lo abbiamo bruciato. Da dieci anni, però, il trend nel nord Italia è verso la riduzione, mentre il trend del tasso di mortalità oncologica del sud aumenta continuamente».

Perché a Lecce la mortalità oncologica è più alta di Taranto? Lei ha una tesi ben precisa, vero?

«Qualcuno dice che è il Radon, altri che si fuma maggiormente: ognuno dice le sue fesserie, perché studi finalizzati all’individuazione delle cause non ce ne sono».


Però, anche lei ha messo fuori la teoria dei venti che porterebbero su Lecce il fumo dell’Ilva e di Cerano.

«Qualcosa la Lilt l’ha fatta dal punto di vista dello studio delle cause, insieme al Cnr: dallo studio dei venti si conoscono i percorsi che quelle sostanze fanno. Il Cnr è venuto a monitorare il percorso qui, qualche hanno fa, e ha rintracciato particelle provenienti dalle ciminiere di Taranto a Tricase. Si tratta di rilievi scientifici. I venti spostano i veleni fin qui: gli studi sono netti, chiari e in linea con quello che si sapeva già nel passato. Qualche stupido si scandalizza per questo, ma noi salentini conosciamo la potenza dei venti: quando piove, da Scirocco, abbiamo la sabbia libica del deserto che piove sulle nostre macchine. Al di là di ogni studio, basta il buon senso. Se quelle ciminiere quantizzano tonnellate all’anno di sostanze emesse, queste sostanze da una parte devono andare: quindi, vengono disperse su un territorio vastissimo, contaminando anche il sottosuolo. A sud di Cerano, sono state poste sotto sequestro delle aree enormi perché contaminate: impregnate di arsenico e altri veleni. Buona parte di questi veleni, come dimostrano gli studi del Cnr, sono giunti fino a Lecce, viaggiando attraverso l’aria»”.

Le esternazioni del dott. Serravezza si fondono con la perizia dei professori Forastiere, Triassi e Biggeri oggetto di valutazione in sede di Riesame. Difatti, rispondendo alla consueta eccezione difensiva dei legali degli indagati sull’inidoneità della stima epidemiologica a far affermare il nesso causale tra le condotte criminose contestate ai dirigenti Ilva e la verificazione del disastro ambientale, il Tribunale le liquida come “prive di pregio”.
Ma i Giudici non si fermano lì, e chiosano questa parte dell’ordinanza con un’illuminante periodo: “peraltro, a parere del Collegio, una relazione causale di tipo probabilistico riconosciuta in via prevalente dalla comunità scientifica potrebbe rendere possibile, anche con riferimento alle morti ed alle malattie, giungere nel caso di specie ad un giudizio prossimo alla certezza, espresso in termini di probabilità logica o credibilità razionale, in ordine alla loro derivazione causale dalle emissioni inquinanti.”….
L’esplicativa sentenza del Riesame appalesa altre tragiche prospettive laddove entra nelle pratiche dell’industria analizzandole come segue: “le emissioni si distinguono in CONVOGLIATE (effettuate cioè, attraverso uno o più appositi punti) e NON CONVOGLIATE (o diffuse) e, queste ultime, in DIFFUSE propriamente dette ( quelle che si disperdono volutamente in atmosfera senza l’ausilio di un sistema di convogliamento delle stesse all’interno verso l’esterno) e FUGGITIVE (rilasciate non intenzionalmente nell’ambiente circostante. Secondo l’impostazione accusatoria recepita dal GIP gli odierni imputati avrebbero realizzato o comunque volontariamente non impedito imponenti quantità di emissioni diffuse e fuggitive, proveniente dalle aree ILVA, di polveri inquinanti contenenti sostanze nocive per la salute umana, animale e vegetale (tra cui diossina, benzo(a)pirene, metalli) provocando disastro ambientale con pericolo per la salute pubblica.”
Il Sindaco di Taranto il 24 maggio 2010 presentava un esposto alla Procura di Taranto con il quale chiedeva “di voler dare avvio alle indagini necessarie per accertare eventuali responsabilità penali in ordine all’aumento di patologie oncologiche nella popolazione di Taranto, riscontrato negli studi posti a fondamento: Registro dei Tumori Jonico Salentino” I dati richiamati nell’esposto del sindaco di Taranto e nelle relazioni dell’ARPA in ordine all’elevato tasso di incidenza di alcune patologie tumorali nell’area di Taranto e dell’elevato rischio sanitario correlato all’inquinamento ambientale da emissioni industriali, hanno trovato conferma nella perizia epidemiologica disposta con le forme dell’incidente probatorio dal GIP i cui esiti, ancora una volta, indicano nell’ILVA la principale fonte emissiva di inquinanti nell’atmosfera, e nella esposizione della popolazione a tali agenti la causa di fenomeni degenerativi di diversi apparati dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte.
Dunque, sentenzia il Riesame, alla luce delle evidenze richiamate non può revocarsi in dubbio che fonte decisiva, preponderante, se non pressoché esclusiva, dell’inquinamento ambientale dell’area di Taranto sia proprio lo stabilimento siderurgico dell’ILVA che, come osservato, per condizioni degli impianti e concrete modalità di attuazione delle lavorazioni del ciclo produttivo, sconfina manifestamente dai parametri normativi o tecnici individuati per la salvaguardia ambientale e, in definitiva, per la gestione eco-sostenibile di attività produttive ad alto rischio quali la siderurgia
A parere pressoché unanime, coloro che hanno subito un danno in questa vicenda non sono solo i malati, i morti o i parenti di questi ultimi. Pur in maniera diversamente grave, tutti i residenti nelle zone esposte alle immissioni nocive del siderurgico sono danneggiati, quantomeno sotto il profilo “morale”, dal reato di disastro ambientale. E l’ambito di “esposizione”, in questa indagine, non deve riduttivamente racchiudersi nel tarantino come se ci fosse una campana di vetro atta ad impedire all’inquinamento di allontanarsi, bensì deve allargarsi così come soffia il vento.
Purtroppo l’allegro motto che da anni caratterizza il nostro Salento oggi è foriero di cattive notizie, Infatti, “SALENTO SOLE MARE E VENTO”, in quest’analisi è il triste riconoscimento che i venti  caratterizzanti il nostro territorio muovono l’inquinamento prodotto dall’ILVA spingendolo e riversandolo sui nostri concittadini, sui nostri animali, sulle nostre terre.
Brindisi-Taranto, l'asse del male si dice. Territori avvelenati, aria malata, terreni pieni di diossina. E popolazione che muore di tumori. Da quasi 20 anni ci sono dati incontrovertibili che documentano l'aumentata incidenza di malattie tumorali di origine ambientale nella provincia di Lecce. E ci sono dati Istat che indicano come e perché il Salento sia l'area più inquinata della Puglia. Un tasso di mortalità per tumori maligni di trachea, bronchi e polmoni cresciuto vertiginosamente. Le aree interessate sono tutte nel Salento, da Lecce in giù. Maglie il paese più colpito (43 decessi nel 2004, 37 nel 2005), ma anche Gallipoli, Nardò, Tricase, Cutrofiano.
Dati che sforano la media regionale e che indicano, per tutto il Salento, un quadro di eccesso di mortalità attribuibile all'inquinamento ambientale di origine industriale. La provincia di Lecce, stranamente, è l'area a più alta incidenza di cancro della Puglia, secondo le statistiche Istat e le cifre dell'Osservatorio epidemiologico. Ma come? Non era Taranto la città più inquinata d'Europa a causa dell'Ilva e delle emissioni di diossina. E come mai i grandi colossi industriali si trovano a Brindisi (il Petrolchimico) e a Taranto (l'Ilva) e le gente muore di tumore a Lecce e provincia? La risposta è da cercare nel vento. Secondo lo studio dell'Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima del Cnr, che ha indagato sugli agenti inquinanti presenti nell'atmosfera del territorio salentino, la causa è proprio nel vento; che trasporta diossina da Taranto e altri tipi di agenti inquinanti dal petrolchimico di Brindisi. 
Ed è per questo che l’alta mortalità da tumori riscontrata nel basso Salento è da addebitarsi ragionevolmente a quelle emissioni e dunque suscettibile di riconoscimento e tutela in quello od in altro procedimento penale. Tenuto altresì conto che, nel Rapporto 2010 dei tumori in provincia di Lecce (Registro Tumori) riferito agli anni 2003-2004 si dice:” Si conferma, però, la maggiore incidenza dei tumori polmonari nel sesso maschile, sia nei confronti delle altre regioni del meridione sia anche rispetto alla media nazionale.”(cfr. pg. 13)
Quanto detto parla prima di tutto ai nostri cuori, alle nostre vite e alla nostra storia e dunque è il nostro passato e il nostro presente. Ma rischia di essere anche il nostro futuro. Di parole ne abbiamo già dette e scritte tante, forse troppe. Ora ci vogliono i fatti. Che si chiamano alternative economiche, risarcimento danni e bonifiche. Da pretendere e ottenere, a qualunque costo. Tutto il resto, acciaio compreso, non conta più niente.
Quanto detto avvalora, oggi come non mai, l’ipotesi che il nostro territorio, il Salento, sia la vittima silenziosa ed indifesa del disastro ambientale oramai accertato. Le istituzioni ad ogni livello dovrebbero prendere atto della situazione e porre in essere tutte quelle iniziative volte a bonificare e tutelare il territorio ed i cittadini ivi residenti. Ormai il nesso di causalità tra inquinamento atmosferico ed aumento delle malattie è ad un tiro di schioppo dall’essere riconosciuto ai livelli  che contano, ed il fatto che  sia approdato nell’aula del Riesame ed ivi innalzato ad assioma induce a ritenere fattibile la configurabilità dei Comuni salentini quali parti offese di quel procedimento penale ovvero di altri nascenti su quella scia. La parte Offesa ha una funzione “accessoria ed adesiva” a quella pubblica, a cui si affiancano attività autonome di controllo e di stimolo in ordine alle indagini, all’assunzione di prove, all’esercizio dell’azione penale. La legittimazione all’esercizio dei diritti e delle facoltà che sono attribuiti all’offeso sorge, quale conseguenza della commissione del reato, in capo al soggetto che è titolare dell’interesse protetto dalla norma penale violata. La commissione del reato di DISASTRO AMBIENTALE 434 c.p. implica un’offesa all’interesse particolare tutelato dalla stessa norma violata sanzionato con l’inflizione di una pena, al quale solo in via eventuale si accompagna un danno civile. Il danneggiato è colui il quale subisce le conseguenze patrimoniali negative derivanti dalla condotta illecita ed assume il conseguente diritto alla restituzione o al risarcimento del danno patrimoniale o morale subito.
Insomma, il Salento parte offesa naturalmente riconosciuta, potrebbe e dovrebbe finalmente costituirsi parte civile nell’ambito giudiziario, e presentare il conto dei danni per se e per i tanti cittadini che hanno subito in silenzio l’efferata violenza dell’ILVA.
E questo compito è oggi prerogativa di chi amministra il territorio che non può far finta di niente girando lo sguardo altrove, perché è proprio quest’atteggiamento che ha ingrossato le condizioni di malattia e di morte.

                                                                          Avv. Maria Angela D’amico

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